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12 Maggio 2015

Sul transfer pricing verifiche senza bussola

di Angelo D'Ugo e Alessandro Germani


La disciplina dei prezzi di trasferimento (articolo 110, comma 7 del Tuir) evidenzia notevoli difficoltà pratiche connesse alla necessaria convivenza tra i profili fiscali, ancorati al concetto di valore normale delle transazioni, e le dinamiche aziendali di fissazione del prezzo di trasferimento. La problematica è rappresentata nel rapporto Ocse sulla Beps (Addressing base erosion and profit shifting) che, se da un lato testimonia la tendenza a dirottare i redditi verso Paesi a bassa fiscalità, dall’altro mette in luce la necessità di assicurare politiche di transfer pricing in linea con la creazione di valore nei diversi Paesi, il focus sulle pratiche scorrette delle imprese e l’obiettivo di garantire maggiori certezze ai contribuenti, minimizzando i rischi di accertamento.

La penalty protection
Il decreto legge n. 78/2010 ha introdotto in Italia un sistema premiale (penalty protection) in base al quale, in caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento, qualora il contribuente produca adeguata documentazione (il master file per le informazioni sul gruppo e la documentazione nazionale sull’impresa residente), vengono disapplicate le relative sanzioni (dal 100 al 200% della maggiore imposta).
Talvolta la documentazione richiesta dall’articolo 1, comma 2-ter del Dlgs n. 471/1997 può risultare estremamente complessa. Ad esempio alla stabile organizzazione di un soggetto non residente (che si configura come holding o subholding) è richiesto di produrre non solo la documentazione nazionale, ma anche il master file, comprensivo di tutti i flussi che la mamma intrattiene con le figlie. In questo modo, però, si costringe la branch a produrre informazioni di cui non dispone o comunque difficili da ottenere. Questa è in ogni caso l’impostazione dell’amministrazione (circolare 58/E/10), tuttavia l’esclusione del master file per la branch sembrerebbe coerente con il codice di condotta Ue e le linee guida Ocse.
Le difficoltà nelle verifiche
Le verifiche sul transfer pricing assumono un’invasività senza confronto in quanto mettono in discussione l’intera operatività aziendale, con effetti non paragonabili neppure alla verifica di un’operazione straordinaria che, benché delicata, risulta più circoscritta.
Solitamente, di fronte a un range di valori (scarto interquartile) fra i quali va identificato il valore normale, viene individuato un punto, ad esempio la mediana, che risulta superiore al prezzo di trasferimento applicato, nonostante anche gli altri punti del range siano da considerarsi validi (rapporto Ocse sul transfer pricing 2010, cap. III par. 3.55).

Inoltre appare estremamente complicato individuare i comparables in termini di banche dati, area geografica, fatturato e arco temporale.
Infine ci si scontra con le difficoltà legate alle modalità di ripartizione dei costi infragruppo. Spesso, infatti, i costi addebitati dalla casa madre sono allocati secondo parametri oggettivi (fatturato), effettivamente sostenuti e inerenti in quanto nell’interesse della beneficiaria. A livello Ocse si raccomanda che la ripartizione dei costi sia avallata da un terzo, tipicamente un revisore, come confermato anche dalla prassi (circolare 271/E/97). Accade tuttavia che, pur in presenza di un bilancio della capogruppo certificato, in assenza di una relazione atta a riconciliare il costo sostenuto a monte con i riaddebiti infragruppo, in sede di verifica venga contestata la certezza del costo. Ciò accade nonostante la giurisprudenza (Cassazione n. 5926 del 12 marzo 2009) abbia chiarito i forti profili della revisione del bilancio in termini di veridicità e la necessità del fisco di dimostrare il contrario per confutarli.
Le possibili soluzioni
Sarebbe quanto mai opportuna una pronuncia che faccia conoscere l’orientamento dell’amministrazione su molte delle tematiche recentemente trattate a livello Ocse, anche perché la circolare n. 32 del 1980 basata sul rapporto del 1979 è ormai troppo datata.
Il sistema delle sanzioni proporzionali, che si applicano sia quando la documentazione è considerata carente sia quando di fatto manca, appare sperequato. In chiave delega si potrebbero prevedere sanzioni fisse, correlate alla mera tenuta della documentazione o alla mancanza di collaborazione in fase di verifica. Di certo andrebbero eliminate le responsabilità penali, anche considerato il fatto che si tratta di una tematica di carattere valutativo. Questi aspetti, di sicuro interesse per le imprese residenti che si cimentano col transfer pricing, contribuirebbero in modo significativo a creare quell’ambiente necessario ad attrarre investitori esteri nel nostro Paese.


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