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12 Marzo 2015

Costi black list, «sconti» a ostacoli

di Davide Cagnoni, Angelo D'Ugo, Alessandro Germani


In un mercato globalizzato, dove la ricerca di competitività delle imprese appare il fattore chiave per la ripresa economica, l’intensificarsi dello scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali richiede la semplificazione delle procedure per la deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti in Paesi black list.

Attualmente l’articolo 110, commi 10 e 11 del Tuir prevede, oltre alla separata indicazione di questi costi in dichiarazione, sanzionata nella misura del 10% dell’importo complessivo (da 500 a 50 mila euro), una presunzione relativa di indeducibilità superabile dimostrando in sede di interpello o di accertamento alternativamente che:

  • i fornitori esteri svolgano un’attività economica effettiva
  • le operazioni poste in essere rispondano a un effettivo interesse economico e abbiano avuto concreta esecuzione.

La ratio della norma è chiara: evitare che l’assenza di scambio di informazioni con alcuni paesi limiti il fisco nel contrasto alla creazione di costi deducibili in Italia attraverso operazioni, in tutto o in parte oggettivamente inesistenti, verso soggetti non necessariamente appartenenti al gruppo, con successiva retrocessione a favore del soggetto residente dell’importo pagato.
La disposizione non dovrebbe applicarsi in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni contenente una “clausola di non discriminazione” (articolo 24 paragrafo 4, modello Ocse). In tali ipotesi, infatti, ex articolo 75, Dpr 600/73 e articolo 169 del Tuir, la disciplina convenzionale dovrebbe prevalere sulla nazionale (Ctp Milano n. 294/5/12).
La difficile prova delle esimenti
In relazione alla prima esimente è necessario fornire documenti quali bilancio, atto costitutivo, contratti di locazione, c/c bancari, assicurazioni (circolare 23 maggio 2003, n. 29). Molti fra questi documenti sono impossibili da ottenere, soprattutto da fornitori esteri appartenenti a gruppi multinazionali, poiché riservati o non disponibili nei tempi richiesti.
La giurisprudenza ha sostenuto che, in presenza di operazioni effettive, la deduzione va riconosciuta in quanto l’impresa italiana non può entrare nel merito della pianificazione fiscale del fornitore, libero nelle proprie scelte di utilizzare veicoli societari in paesi a bassa fiscalità (Ctp Venezia n. 1/12).
Per la seconda esimente, invece, sono stati individuati specifici elementi per dimostrare l’effettivo interesse economico tra i quali il prezzo praticato, i costi accessori, le modalità di attuazione (risoluzione 46 del 16 marzo 2004 e circolare 51/E/2010).
In giurisprudenza si è poi sostenuto che l’impresa è libera di ricercare i fornitori più idonei e non deve essere costretta – a parità di prezzo e se la transazione è effettiva – a rivolgersi a fornitori non black list. Un’operazione non palesemente in perdita, se effettivamente compiuta, è più che idonea ad integrare il requisito dell’interesse economico (Ctr Marche 22 giugno 2010, n. 5). Ciò che conta è il conseguimento di un utile superiore alla media (Ctr Lombardia 8 novembre 2012, n. 138) o la realizzazione di notevoli margini di profitto (Ctr Piemonte, 13 dicembre 2012, n. 91). La stessa circolare 51/E ha poi riconosciuto la sussistenza dell’interesse economico pur in presenza di un prezzo di acquisto superiore alla media di mercato.
Le possibili semplificazioni della norma
In più occasioni è stata ipotizzata la sostituzione dell’indeducibilità dei costi black list con il concetto di valore normale del transfer pricing. Tuttavia, in relazione ai costi black list la problematica consiste nella simulazione – in tutto o in parte – dei corrispettivi. Invece nel transfer pricing la divergenza di prezzo (rispetto al valore normale) è finalizzata a minimizzare il carico impositivo di gruppo. Il riconoscimento del costo black list limitato al valore normale non appare decisivo, avendo senso solo in caso di parziale simulazione del corrispettivo.
La norma potrebbe circoscriversi alle sole prestazioni di servizi, la cui concreta esecuzione e il valore di mercato appaiono difficili da provare anche in presenza di un rafforzato scambio di informazioni. Per le cessioni di beni, invece, la previsione di indeducibilità potrebbe essere eliminata trattandosi di operazioni difficilmente simulabili.
Le imprese sono infatti spesso costrette ad approvvigionarsi all’estero per esigenze di mercato (petrolio, pelli, elettronica di consumo) a fronte di oneri - le esimenti - sproporzionati e causa di ricorrente contenzioso, sempre più incerto anche per l’erario. È auspicabile che si realizzi questa revisione e l’attuazione della delega fiscale potrebbe essere l’occasione giusta.

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