01 Dicembre 2020
Torna a casa, Expat: istituzioni e imprese per il rientro degli Italiani espatriati
Italiani all'estero: i giovani espatriano alla ricerca di un'economia stabile e di prospettive lavorative a lungo termine. Ma quale prezzo paga, per queste perdite, il tessuto socio-economico del nostro Paese?
Con il contributo di: Rob Brouwer, CEO di Jobrapido e Angelo D'Ugo, dottore commercialista e partner dello studio GDC Corporate & Tax di Milano.
Il fenomeno degli Expat - in altre parole, degli italiani che lasciano il nostro Paese per andare a vivere e lavorare stabilmente all'estero - sembra essere negli ultimi anni in costante e continua crescita. I numeri sono senz'altro importanti: secondo l'ultimo rapporto 2020 sugli Italiani nel mondo, a cura delle fondazione Migrantes, gli iscritti all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) in data 1 gennaio 2020 erano 5.486.081. Un fenomeno di mobilità quindi tutt'altro che trascurabile, che interessa oltre il 9% della popolazione complessiva del nostro Paese e che sembra coinvolgere prevalentemente giovani e giovani adulti: il 22,3% ha tra i 18 e i 34 anni ed il 23,3% ha tra i 35 e i 49 anni.
A partire, però, non sono solo i "cervelli": rispetto al 2006, la percentuale di chi è espatriato all'estero con in tasca un diploma è cresciuta del 292,5%, rispetto a un (pur elevatissimo) +193,3% per chi si è spostato all'estero con un titolo di studio alto, cioè laurea o dottorato.
Viene meno, quindi, la tesi per cui il fenomeno emigratorio interessi solo le fasce di giovani lavoratori altamente qualificati. A queste si uniscono, con una crescita esponenziale, anche le categorie di diplomati alla ricerca di occupazioni non altamente specializzate.
L'impatto del fenomeno Expat sul tessuto socio-economico italiano
L'Italia, quindi, sta continuando a perdere le risorse più giovani, creative e vitali, rinunciando a capacità e competenze che vengono messe a disposizione di altri Paesi più attrattivi, che usufruiscono così degli anni di maggior produttività della nostra forza lavoro.
Si tratta una perdita imponente per il nostro Paese - quantificabile secondo Patrizia Fontana, presidente di Talents in Motions, in 14 miliardi di euro l'anno, equivalente a un punto percentuale di PIL.
Ad espatriare, infatti, è capitale umano formato in Italia, con la conseguente dispersione delle risorse investite per la sua istruzione e specializzazione.
Confindustria stima che una famiglia spende circa 165mila euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni, mentre lo Stato ne spende 100.000 in scuola e università. Tutti investimenti di cui vanno a beneficiare Paesi con maggiori capacità attrattive.
Senza contare i costi rilevanti dal punto di vista sociale e le perdite legate agli impliciti mancati investimenti degli expat sul sistema produttivo nazionale. A pesare sul tessuto socio-economico italiano, infatti, è sia l'espatrio di figure con un'alta istruzione, ma anche di figure professionali più o meno specializzate e che sono talvolta carenti in Italia.
In entrambi i casi a disperdersi è un bacino di risorse preziose, in grado in vario modo di far crescere il Paese e che avrebbe le capacità per innovare e per contribuire ad alleviare - con le proprie energie, competenze e risorse - gli effetti della crisi economica, demografica, educativa e occupazionale che attanaglia il Paese e che la recente pandemia legata al COVID 19 ha aggravato.
Di questo le istituzioni sono consapevoli: ne sono prova i continui aggiornamenti fatti alla legislazione che favorisce il rientro degli expat in Italia, recentemente ampliata anche dal punto di vista delle categorie di lavoratori coinvolti - in riferimento sia alle categorie di soggetti tutelati sia alla possibile durata e all'ammontare dell'incentivo.
Il nuovo bonus rimpatriati elimina infatti qualsiasi riferimento a titoli di studio, mansioni direttive o requisiti di elevata specializzazione o qualificazione per l'erogazione ai soggetti interessati, allargando così di fatto enormemente il bacino di utilizzo di questo incentivo e aprendo in questo modo la strada per l'applicazione alle più svariate mansioni e categorie in grado ora di trarne beneficio - e questo vale sia per i lavoratori che sarebbero disposti a rientrare in Italia sia per le aziende in cerca di strumenti per incentivare il rientro di queste necessarie figure professionali.
Non vanno poi dimenticati gli interventi finalizzati a favorire il rientro dei ricercatori e dei docenti previste dall'articolo 44 del D.L. n. 78/2010, anche questi rafforzati ed estesi con l'ultima versione degli incentivi.
Torna a casa, Expat: il bonus impatriati
Osservare il fenomeno degli Expat da una prospettiva differente, quindi, ci porta a intravedere un'opportunità unica: l'Italia dispone di un contingente enorme di giovani formati in diverse mansioni che parlano lingue e hanno conseguito esperienze lavorative in contesti internazionali. Un contingente che, secondo i sondaggi del centro studi PWC, per il 74% considererebbe un ritorno in Italia a parità di condizioni lavorative.
A livello nazionale, il regime fiscale previsto per i lavoratori "rimpatriati" (ovvero quei lavoratori che, dopo un periodo all'estero, trasferiscono in Italia la propria residenza e qui svolgono prevalentemente il proprio lavoro) viene ciclicamente rinforzato e ampliato, com'è accaduto appunto con l'ultima normativa attualmente vigente. Vediamo i dettagli insieme a Angelo D'Ugo, dottore commercialista e partner dello studio GDC Corporate & Tax di Milano.
Con il D.Lgs n. 147/2015 è stata introdotta una disciplina finalizzata ad attrarre i soggetti interessati a trasferirsi in Italia da un Paese UE o extra UE o a far rientrare in Italia i cittadini emigrati in passato all'estero per motivi di lavoro e che, grazie alla loro esperienza, possono favorire lo sviluppo economico, culturale e tecnologico italiano.
In sintesi, rispetto al quadro normativo precedente (Legge n. 238/2010), il bonus Rimpatri destinato ai lavoratori prevede che:
- La base imponibile relativa al reddito prodotto in Italia è ridotta del 70% (anziché del 50%) e addirittura del 90% per i soggetti che spostino la propria residenza nelle regioni del Sud e Isole;
- Si riduce da 5 a 2 anni il periodo necessario di residenza all'estero precedente al rientro (o al primo ingresso) in Italia.
- Viene meno, per i lavoratori subordinati, il riferimento alla clausola per cui l'attività venga svolta presso un'impresa residente in Italia.
- Si stabilisce espressamente la non obbligatorietà dell'iscrizione all'AIRE come prova di residenza all'estero. Questo a patto che il lavoratore, nei due periodi d'imposta precedenti al trasferimento, abbia mantenuto la residenza in un altro Stato con cui è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni.
- La durata del beneficio si conferma di 5 anni, ma sale a 10 anni per i genitori con almeno un figlio minorenne a carico o per i soggetti che diventano proprietari di un immobile residenziale in Italia in seguito al trasferimento o nei 12 mesi precedenti. In questo caso specifico, la riduzione della base imponibile è pari al 50% nella generalità dei casi e sale al 90% per alcune categorie di lavoratori: coloro che hanno almeno 3 figli minorenni o a carico e coloro che si trasferiscono in regioni del sud.
- Viene meno, per tutti i cittadini italiani e dell'Unione Europea, ogni riferimento a titoli di studio, mansioni direttive o requisiti di particolare specializzazione o qualificazione. Per i cittadini provenienti da Stati extra-UE la norma si applica a patto che provengano da uno Stato con cui sia in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni e che si tratti di lavoratori con diploma di laurea e che abbiano svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi 2 anni, ovvero abbiano svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi 2 anni o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream;
A decorrere dal 2020 la nuova disciplina trova applicazione oltre che per i lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi, anche con riferimento ai redditi d'impresa prodotti da un soggetto che abbia avviato un'attività d'impresa in Italia. Da un punto di vista operativo, l'applicazione degli incentivi non risulta di per sé particolarmente complessa. È prevista infatti la presentazione di un'apposita richiesta al datore di lavoro (in caso di lavoratori dipendenti) o direttamente nella dichiarazione dei redditi (per i lavoratori autonomi o per gli imprenditori). Nonostante ciò, anche in considerazione delle numerose modifiche normative susseguitesi nel tempo, va fatta molta attenzione alla verifica del possesso dei requisiti e delle modalità di svolgimento dell'attività, avvalendosi anche del proprio professionista di fiducia. L'errore, infatti, può costare caro, con l'applicazione di sanzioni e interessi in caso di disconoscimento del beneficio da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Il ruolo delle aziende nel rientro dei talenti in Italia
Ma c'è un dato importante su cui riflettere: secondo un sondaggio condotto nel 2018 dal Gruppo Controesodo, solo il 21% degli italiani all'estero è aggiornato sulla legislazione vigente in termini di sgravi fiscali a favore degli impatriati, e circa il 40% la conosce solo vagamente.
Secondo Rob Brouwer, CEO di Jobrapido, "Questi sono numeri che fanno riflettere e che rendono evidente la necessità di comunicare in maniera chiara e più incisiva da parte degli enti statali e delle istituzioni, per rendere i giovani consapevoli dei propri diritti e delle opportunità sul campo.
Ma anche il mondo del lavoro e direttamente le aziende devono essere coinvolti in prima linea in questo processo.
Le aziende infatti possono e devono farsi centri propulsori di questa manovra di riavvicinamento delle risorse al Paese - diventando anche organi di informazione e di comunicazione già in fase di recruiting.
Il processo stesso di selezione può diventare lo strumento con cui gli expat vengono messi al corrente dei vantaggi fiscali di cui potrebbero usufruire rientrando in Italia, e questo si trasformerebbe a tutti gli effetti in una leva nelle mani delle aziende italiane per attrarre i migliori candidati, oltre che n'opportunità per tante categorie di lavoratori desiderosi di rientrare nel nostro Paese ma che, fino a questo momento, non ne hanno avuto l'opportunità. "Affiancati dalle nuove tecnologie, fondamentali per affinare il processo di recruiting e renderlo più efficace in termini di tempi, di costi e di risultati, questi incentivi potrebbero quindi rappresentare una leva ulteriore e decisiva per le aziende in cerca di nuovi talenti."
A questo riguardo, conclude Brouwer: "La portata globale della crisi sanitaria, e il suo enorme impatto sulle economie e sui mercati nazionali e internazionali, hanno determinato un cambiamento strutturale anche all'interno dello scenario occupazionale. La disoccupazione è tornata a rescere, il che significa che aumentano le ricerche di lavoro mentre il numero dei posti vacanti diminuisce, o cresce ad un livello inferiore. Ciò implica certamente investire delle risorse in attività di employer branding: un match efficace fra azienda e dipendente, e fra annuncio di lavoro e candidatura, si raggiunge infatti anche attraverso le informazioni giuste e più adatte messe a disposizione a partire dalla fase di selezione.
Raggiungere questo match perfetto significa anche ricorrere alle tecnologie più innovative per ottenerlo, come AI, Big Data e tecniche avanzate di Programmatic. Oggi, infatti, per la maggior parte dei settori la sfida più importante non è ricevere un numero sufficiente di candidature, ma estrarre la candidatura giusta fra quelle ricevute: il ricorso alle nuove tecnologie è
fondamentale per perfezionare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro e rendere il processo di assunzione più efficace."