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03 Marzo 2021

Il saldo attivo va al test di convenienza

di Alessandro Germani



Nell'ambito della rivalutazione dei beni d'impresa prevista dall'articolo 110 del Dl 104/20 un aspetto importante riguarda i profili di convenienza circa l'affrancamento o meno anche del saldo attivo, iscritto in contropartita della rivalutazione degli asset.
Che la misura sia allettante non sembra esservi dubbio, dal momento che la sostitutiva per ottenere il riconoscimento fiscale dei beni è stata posta a un livello - il 3% - che rispetto al risparmio fiscale che si ottiene (pari in genere al 27,90% in termini di minore Ires e Irap) non lascia spazio ad altre considerazioni. A ciò si aggiunga la convenienza di poter operare su singoli beni e non su categorie omogenee.
Può essere utile fare alcuni ragionamenti sulla convenienza o meno di affrancare il saldo attivo di rivalutazione, che in base al comma 3 potrà avvenire con una sostitutiva del 10% in un massimo di tre rate di pari importo.
Premettiamo che il fatto di operare una rivalutazione solo civilistica, senza riconoscimento fiscale degli asset, comporterebbe che la riserva sia libera, distribuibile senza oneri per la società. Tuttavia da un punto di vista bilancistico l'operazione rischia di far perdere appeal alla misura, perché bisognerebbe stanziare le imposte differite sui maggiori valori degli asset che sono privi di riconoscimento fiscale.
Immaginiamo che si decida di rivalutare un solo asset in misura pari a cento, senza optare anche per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori. Questo comporterebbe in prima battuta una riserva di rivalutazione (non in sospensione d'imposta) pari a 100. Ma considerato che i maggiori valori degli asset non sono riconosciuti, andranno stanziate le imposte differite ai fini Ires e Irap relative a tali maggiori valori. Per cui si avrà:

  • cespite rivalutato nell'attivo pari a 100;
  • riserva di rivalutazione nel patrimonio netto pari a 72,10;
  • fondo imposte differite nel passivo pari a 27,90 (24 Ires e 3,90 Irap).

Appare chiaro come, se l'intento della società sia anche quello di migliorare il proprio patrimonio netto, questa operazione rischi di avere meno senso. Il solo fatto di assoggettare alla sostitutiva del 3% i maggiori valori consente di eliminare il fondo imposte differite, perché non ci sarà divergenza fra i valori civilistici e quelli fiscali. Ciò consente di riguadagnare una notevole misura di equity. A quel punto la rappresentazione in bilancio appare così:

  • cespite rivalutato nell'attivo pari a 100;
  • riserva di rivalutazione nel patrimonio netto pari a 97;
  • debiti tributari pari a 3.
Qui si innestano i ragionamenti di opportunità sulla riserva di rivalutazione e sul suo affrancamento. Come chiarito anche dalla circolare 14/E/17 (paragrafo 4), ai fini fiscali il saldo attivo costituisce una riserva in sospensione di imposta tassato, ai sensi dell'articolo 13 della legge 342/00, in caso di sua distribuzione. Quindi non vi è dubbio che nel caso in cui la riserva venga distribuita essa costituirà sempre utile in capo al socio.
La differenza sostanziale è in capo alla società, in quanto la distribuzione della riserva non affrancata costituisce reddito in capo alla stessa (ai fini Ires) e quindi determina un carico fiscale del 24%, contro una sostitutiva del 10% in caso di affrancamento.
Queste considerazioni dovrebbero portare alla conclusione che convenga sempre affrancare il saldo attivo di rivalutazione. In realtà non sempre è così, perché possono esservi dinamiche differenti che vanno valutate caso per caso, a seconda della società. Vi sono realtà che comunemente non distribuiscono dividendi, perché ad esempio tendono ad autofinanziarsi o per via del fatto che hanno dei vincoli (anche finanziari) alla distribuzione, tali per cui possono valutare di non affrontare un esborso (sebbene diluito in tre anni) a fronte di un evento (la distribuzione) che appare incerto o comunque rimandato nel tempo.
Altra eventualità può essere quella per cui il saldo attivo di rivalutazione venga utilizzato per coprire, in tutto o in parte, delle perdite. A quel punto la società dovrebbe individuare la quota della riserva di rivalutazione che è destinata a coprire le eventuali perdite e, per la parte restante, decidere se optare per l'affrancamento del residuo saldo attivo oppure no. Tornando all'esempio precedente, immaginiamo che a fronte della rivalutazione di un asset (ad esempio un immobile per una immobiliare di gestione) per 100 si possa ragionare sulla svalutazione di un altro asset (altro immobile) per 50.
La società decide di dare rilevanza fiscale alla rivalutazione pagando la sostitutiva del 3 per cento. Immaginiamo che nello stesso bilancio 2020 in cui viene effettuata la rivalutazione la società svaluti per 50 l'altro asset. Ma le considerazioni non cambiano se la società dovesse optare per il fatto di operare tale svalutazione in futuro. La riserva può essere utilizzata a copertura delle perdite, ma in tal caso non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la stessa non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell'assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dell'articolo 2445 commi 2 e 3 del Codice civile. La casistica della risposta a interpello 316/19 sembra confinata all'ipotesi di utilizzo della riserva non a copertura delle perdite d'esercizio bensì del disavanzo da annullamento. Ma non sembra poter mettere in discussione l'utilizzo della riserva di rivalutazione a copertura delle perdite

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