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27 Ottobre 2020

Dai Pir 2.0 dote di capitale paziente per lo sviluppo delle Pmi non quotate

di Alessandro Germani



L'introduzione dei Pir alternativi ad opera del decreto Rilancio aumenta per gli investitori l'appeal verso le Pmi quotate all'Aim o non quotate, aprendo all'offerta di capitali da parte dei fondi di private equity e di private debt. Tutto ciò suggerisce alcune riflessioni sull'offerta e la domanda di capitali.
L'articolo 136 del Dl 34/20 ha introdotto una nuova categoria di Pir, i cosiddetti Pir 2.0, che si affianca a quelli tradizionali introdotti dalla legge di Bilancio per il 2017.
Il comune denominatore di questi strumenti consiste nella defiscalizzazione dei redditi (di capitale e diversi) che essi accordano al ricorrere di determinate condizioni, quali la detenzione per almeno cinque anni.
Ma l'elemento da sottolineare per i Pir alternativi consiste nel fatto che almeno il 70% del piano deve essere investito in strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione , emessi o stipulati con imprese residenti in Italia o residenti in Stati Ue o See ma con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, diverse da quelle inserite negli indici Ftse Mib e Ftse Mid cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. L'investimento riguarda poi tre ambiti:

  • l'equity;
  • il debito;
  • i crediti delle imprese;
e prevede l'innalzamento del limite di concentrazione dal 10% al 20 per cento.
Tutto ciò comporta che la gran parte delle somme verranno orientate verso le imprese quotate all'Aim (che è un sistema multilaterale di negoziazione) o non quotate.
È evidente, quindi, come chiarito dalla stessa relazione illustrativa, che è incentivato l'investimento da parte di fondi di private equity, di private debt, di credito.
Si guarda in altre parole al cosiddetto "private capital".
Un investimento illiquido
Corollario di tutto ciò è la consapevolezza che l'investimento è più illiquido, trattandosi di quel capitale paziente che necessita alle imprese per il loro sviluppo.
E a ciò si accompagnano dei limiti per gli investitori più elevati, da un minimo di 300mila euro annui a un massimo di 1,5 milioni di euro complessivi, a dimostrazione di un investimento indirizzato a una clientela sofisticata e più "consapevole" rispetto a quella del Pir tradizionale.
Chiarito il quadro dell'offerta dei capitali, vediamo le implicazioni dal lato della domanda, ovvero le imprese.
È fondamentale per queste ultime effettuare un check up iniziale per comprendere le caratteristiche degli strumenti e la forma di finanziamento più adeguata.
In primis occorre valutare la redditività storica e prospettica dell'impresa, intesa come rapporto tra il suo Ebitda e i ricavi.
Ciò in considerazione del fatto che l'investitore sarà alla ricerca di rendimenti più elevati, quindi conseguibili da imprese prospetticamente redditizie.
L'attenzione dunque alla performance economica e finanziaria diventa elemento cruciale, così come l'abitudine alla misurazione di queste grandezze da parte del direttore amministrativo e del professionista che segue tradizionalmente la società.
Altro aspetto fondamentale consiste nel confrontare le alternative dell'intervento in equity o nel debito.
Le richieste della banca
L'impresa è infatti abituata al partner bancario che guarda ai bilanci, non interviene nella gestione, al massimo chiede il rispetto di alcuni convenants in presenza di finanziamenti più strutturati.
Nel caso di un fondo di private debt non cambia radicalmente la sostanza, in quanto la strutturazione di un minibond o di un finanziamento ibrido può incidere sui rendimenti che talvolta sono superiori a quelli richiesti dalla banca. Ma non si interviene sulla vita e sulla governance aziendale.
Differente è il caso di un ingresso nell'equity, perché il fondo vorrà avere voce sulle decisioni aziendali e un controllo della performance, sedendo in consiglio di amministrazione e nominando propri professionisti nell'organo di controllo.
Quindi in qualche modo occorre interrogarsi se l'imprenditore sia maturo per un avvicendamento nel controllo della propria società, che spesso l'intervento di un private equity di maggioranza comporta.
Una forma di acclimatamento graduale può essere l'intervento di equity di minoranza.
Considerando che poi la way out di entrambe potrebbe essere la quotazione in Borsa, come ulteriore crescita delle nostre Pmi nazionali.

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