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28 Gennaio 2025

La nozione di «controllo» nella disciplina del transfer pricing


01. Premessa

Il concetto di “controllo” rappresenta un elemento cruciale per l’applicazione della disciplina del transfer pricing, come disciplinato dall’articolo 110, comma 7, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Tale norma, infatti, stabilisce che le transazioni infragruppo debbano essere valutate in base al principio di libera concorrenza (“arm's length principle”), imponendo quindi che i prezzi e le condizioni praticate siano comparabili a quelli che avrebbero caratterizzato transazioni tra parti indipendenti. Per l’applicazione della norma, è necessario individuare un rapporto di controllo diretto o indiretto tra le entità coinvolte nella transazione. Tuttavia, l’articolo 110, comma 7, non contiene alcun specifico riferimento esplicativo di tale concetto.

Da un lato c’è quindi il concetto di controllo fissato dal legislatore civilistico nell’articolo 2359 del codice civile. Tuttavia, il concetto di controllo in chiave fiscale appare più ampio, viste le esigenze del fisco come emergono dalla disciplina dei prezzi di trasferimento.

Il Decreto Ministeriale del 14 maggio 2018 ha fornito le linee guida per chiarire l’applicazione del principio di libera concorrenza e ha definito il concetto di “imprese associate”. Ai sensi del decreto, rientrano in questa categoria i soggetti che partecipano direttamente o indirettamente nella gestione, nel controllo o nel capitale di un’altra impresa o che sono controllati dal medesimo soggetto. La normativa si è evoluta per allinearsi ai principi OCSE, che ampliano ulteriormente la nozione di controllo includendovi anche le influenze economiche significative.

Il Modello OCSE, infatti, integra una definizione ancora più estesa di partecipazione e controllo, ricomprendendo situazioni in cui vi è una gestione comune o una significativa influenza economica. Questa prospettiva dovrebbe riflettersi a livello operativo sia nella giurisprudenza italiana sia nelle prassi dell’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, la prassi accertativa dell’Agenzia delle Entrate utilizza il concetto di controllo in modo sicuramente ampio. Recentemente, una società italiana facente parte di un gruppo internazionale è stata ricondotta sotto il controllo di una diversa società belga, fornitore della prima, sulla base di un contratto di vendita in esclusiva di beni e di una partecipazione societaria al capitale diretta e indiretta pari al 19%. In questo caso, i verificatori hanno ritenuto questi elementi sufficienti per integrare un’influenza dominante e, quindi, per procedere con un’analisi sui prezzi praticati dal fornitore nei confronti della società italiana. In particolare, l’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto sufficienti le ragioni economiche e di mercato sottostanti al rapporto, tra l’altro confrontabili con quelle desumibili dai rapporti intrattenuti con altri rivenditori indipendenti della stessa società belga nel mercato italiano ed estero, ed ha provveduto alla ripresa a tassazione dei prezzi di trasferimento operati dalla società italiana utilizzando come metodologia un TNMM.

Quest’ultimo caso porta ancora una volta a domandarsi cosa debba intendersi per “controllo” ai fini della disciplina del transfer pricing.

02. La definizione di controllo tra codice civile e normativa fiscale

L’articolo 2359 del Codice Civile offre una definizione strutturata di controllo societario, individuando tre principali categorie:

  • il controllo di diritto questo è dato dal possesso della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  • il controllo di fatto esso si estrinseca nella disponibilità di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
  • il controllo contrattuale riguarda situazioni in cui l'influenza dominante deriva da particolari vincoli contrattuali.

Tale norma non viene ripresa per una definizione di controllo dall’articolo 110, comma 7, del TUIR. La divergenza tra la nozione civilistica di controllo e quella richiesta ai fini fiscali è stata oggetto di numerose interpretazioni da parte della prassi e della giurisprudenza.

Circa l’eventuale riconducibilità del disposto dell’articolo 2359 c.c. alla definizione di controllo per cui è applicabile la disciplina sui prezzi di trasferimento, si è espressa la circolare ministeriale n. 32 del 22 settembre 1980. La circolare introduce un concetto di controllo “allargato” per l’applicazione della normativa sul transfer pricing.

Sul punto, nella circolare viene esplicitamente escluso che la nozione di controllo sia riferibile esclusivamente al dettato di cui all’articolo 2359 c.c.; infatti, si legge nella stessa, che i fini perseguiti dal legislatore fiscale e da quello civilistico sono diversi, per il primo “il controllo di cui trattasi deve essere contrassegnato da esigenze di elasticità e trovare collocazione in un contesto economico dinamico, tenendo presente, cioè, che le variazioni di prezzo nelle transazioni commerciali trovano spesso il loro presupposto fondamentale nel potere di una parte di incidere sull'altrui volontà non in base al meccanismo del mercato ma in dipendenza degli interessi di una sola delle parti contraenti o di un gruppo”. Secondo la circolare, la nozione di controllo deve ricomprendere “ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile dalle singole circostanze”. In particolare, viene precisato che “il criterio di collegamento che determina l’alterazione dei prezzi di trasferimento è costituito spesso dall’influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali dell’altra, che va ben oltre i vincoli contrattuali od azionari sconfinando in considerazio ni di fatto di carattere meramente economico”. Questo approccio consente di considerare situazioni di influenza economica attuale o potenziale, anche in assenza di vincoli societari formali. Tra i casi rilevanti individuati dalla circolare vi sono:

  • la vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa;
  • l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza capitale, prodotti o cooperazione tecnica forniti dall’altra impresa;
  • il diritto di nomina dei membri del consiglio di amministrazione o di altri organi direttivi;
  • le relazioni familiari tra le parti;
  • la concessione di ingenti crediti o la prevalente dipendenza finanziaria;
  • la partecipazione a centrali di approvvigionamento o vendita;
  • contratti che creano situazioni monopolistiche.

In sostanza, la circolare stabilisce che il controllo non debba necessariamente basarsi su rapporti contrattuali o societari, ma può derivare da fattori economici e gestionali.

Ancora, nel 2020 l’Agenzia delle Entrate all’interno del Provvedimento n. 360494 in tema di documentazione idonea all’ottenimento della cd. penalty protection ai fini del transfer pricing ha specificato che per “partecipazione nella gestione, nel controllo o nel capitale” si intende anche l’influenza dominante sulla gestione di un’altra impresa, sulla base di vincoli azionari o contrattuali.

03. Il concetto di controllo nella giurisprudenza

La giurisprudenza nazionale ha svolto un ruolo fondamentale nell’ampliare e chiarire il concetto di controllo nel contesto del transfer pricing. In diverse occasioni, i giudici hanno confermato che il controllo non debba essere limitato ai requisiti formali previsti dal codice civile, ma debba invece considerare la sostanza economica dei rapporti tra le parti. La Corte di Cassazione, in particolare, nella sentenza n. 8130 del 22 aprile 2016, ha ribadito che il requisito del controllo, rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina del transfer pricing, non può essere ricondotto nei limiti dell’articolo 2359 c.c. e sussiste anche a fronte dell’esistenza di circostanze che indicano un’influenza anche solo potenziale di una società sulle decisioni imprenditoriali di un’altra. Nel caso di specie, una società italiana, priva di una struttura commerciale, aveva affidato alla società estera, titolare del 24% del capitale della prima, l’incarico di vendita in esclusiva dei propri prodotti.

Questo approccio è stato confermato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 27018 del 15 novembre 2017 nella quale i giudici hanno ritenuto che il requisito soggettivo del controllo può sussistere ogni qualvolta un’impresa sia in grado di esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa, ancorché fra le stesse non sussista un rapporto di controllo, tenendo in considerazione tutte le circostanze del caso ed attraverso l’individuazione di elementi di fatto che comprovino la presenza di una unica volontà che indirizzi l’operato dei due soggetti. In questo caso i giudici hanno superato anche il riferimento ai vincoli contrattuali o partecipativi, ritenendo che il rapporto di controllo debba essere interpretato in modo elastico, ossia che debba essere adattato alle diverse realtà e forme che può assumere l’attività d’impresa. Nel caso di specie, la Corte Suprema ha confermato la sussistenza del controllo fra una società italiana, cedente, e una società tedesca, acquirente, dal momento che il socio non maggioritario (45%) e direttore delle vendite della società italiana era, altresì, presidente e amministratore del gruppo a cui apparteneva la società tedesca. In questo caso, in virtù della partecipazione al capitale sociale e della carica ricoperta secondo i giudici, la società tedesca era in grado di esercitare un’influenza notevole sulla società italiana tale da consentire un’alterazione dei prezzi di vendita nei rapporti commerciali. 

Ancora, la sentenza della Corte di Cassazione n. 15668 del 17 maggio 2022 ha ribadito che il controllo può essere esercitato anche attraverso maggioranze relative o situazioni di dipendenza economica sostanziale. 

Queste decisioni evidenziano un approccio flessibile e sostanzialistico, che si allinea alle finalità della disciplina sul transfer pricing, ovvero garantire l’applicazione del principio di libera concorrenza. Questa evoluzione giurisprudenziale riflette la necessità di evitare che strutture formali possano essere utilizzate per eludere gli obblighi fiscali, promuovendo invece un’interpretazione che valorizzi la sostanza economica e gestionale dei rapporti infragruppo.

04. Considerazioni finali

La nozione di controllo nel transfer pricing è stata oggetto di un’evoluzione normativa e interpretativa significativa. L’articolo 110, comma 7, del TUIR e il D.M. del 14 maggio 2018 hanno fornito un quadro normativo che, pur richiamando principi internazionali come quelli dell’OCSE, lascia margini di incertezza applicativa.

La citata circolare n. 32 e la giurisprudenza consolidata hanno contribuito a delineare un concetto di controllo non solo «allargato», ma «elastico», che richiede una lettura caso per caso per l’individuazione di elementi e indizi, come la partecipazione al capitale, diritti di voto, partecipazioni in assemblea e vincoli contrattuali, che, in un quadro che richiede una visione d’insieme, possano configurare un’influenza dominante con la conseguenza dell’applicazione delle regole sui prezzi di trasferimento. 

Questa evoluzione riflette l’esigenza di contrastare pratiche elusive e di garantire che i rapporti infragruppo siano valutati secondo il principio di libera concorrenza. Tuttavia, rimangono spazi di ambiguità che richiedono ulteriori chiarimenti normativi e applicativi per ridurre il rischio di discrezionalità e garantire una maggiore certezza del diritto, sia dal lato delle imprese che da quello dei verificatori. Diversamente, il rischio è quello di penalizzare scelte economiche dettate da esigenze del mercato di riferimento, come un contratto di vendita in esclusiva di prodotti particolari, arrivando a concludere che ciò comporti in sostanza un controllo di fatto e quindi l’applicazione del transfer pricing anche fra due soggetti che sono formalmente (e probabilmente anche sostanzialmente) indipendenti.

A cura di:


Dott.ssa Giulia Forestieri