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04 Luglio 2023

Plusvalenze nel calcio: la correzione non va al cuore del problema

di Alessandro Germani e Franco Roscini Vitali


Con il decreto legge 75/23 il Governo torna su un provvedimento che vuole risolvere il problema delle plusvalenze delle società calcistiche da un punto di vista fiscale, inasprendo la norma che consente attualmente il frazionamento delle stesse (articolo 86, comma 4, del Tuir) in cinque esercizi. In altre parole, si vogliono distinguere le plusvalenze realizzate in denaro da quelle realizzate mediante una permuta dei giocatori, penalizzando le seconde dal punto di vista fiscale. Non è consentito il frazionamento per la plusvalenza non realizzata in denaro. Inoltre, il periodo di detenzione dell’asset passa da uno a due anni. 

Ma la domanda che occorre porsi è se il problema delle società calcistiche sia di tipo fiscale o, piuttosto, si tratti di una tematica civilistica che riguarda la sostenibilità dell’industria calcistica nel suo insieme (si veda «Il Sole 24 Ore» del 21 febbraio 2023). In altre parole, il patteggiamento raggiunto dalla Juventus sul tema delle plusvalenze che le sono state contestate e della cosiddetta manovra stipendi (tesa a imputare in successivi esercizi alcune componenti del costo dei giocatori che dovevano essere contabilizzate in precedenza, per competenza, visto che il campionato 2020 nonostante il Covid era stato ripreso) dovrebbe far riflettere su un duplice aspetto. In prima battuta occorre valutare quale sia la problematica sottostante, che appare essere piuttosto di tipo civilistico e non fiscale. In secondo luogo, occorre comprendere quanto siano diffuse queste pratiche fra le società calcistiche. 

Alcune considerazioni possono essere avanzate con ragionevole semplicità. Non sembra la prima volta che l’industria del calcio si trova in difficoltà, se si pensa al decreto salva calcio o spalma debiti (che poi era in realtà uno spalma perdite) n. 282 del 24 dicembre 2002. Esistono alcune realtà che sono sicuramente sane e che raggiungono i propri obiettivi – calcistici e di tenuta economica – in maniera virtuosa, ma il panorama in generale non appare roseo. Se dunque di fondo c’è una sostenibilità dei conti delle società, il problema centrale non appare essere quello fiscale, tanto più considerato che in molti casi le società in questione appaiono in perdita fiscale e per tale motivo la convenienza al frazionamento fiscale della plusvalenza non sembra un elemento dirimente. 

Se esiste dunque un tema di sostenibilità dei conti delle società calcistiche, occorre domandarsi quali leve di gestione le stesse abbiano per poter raggiungere dei risultati positivi e mantenere dei conti in ordine. Una tematica riguarda chiaramente gli introiti che derivano dai diritti televisivi che costituiscono una componente importante dei ricavi dell’esercizio. 

Ma per alcune società un effetto positivo sembra derivare anche dal fatto di avere uno stadio di proprietà, con tutto quello che comporta in tema di introiti delle partite nonché del merchandising collegato, perché diventa un’area in cui trascorrere del tempo libero dedicato alla partita di calcio ma non solo. Sotto questo profilo, andrebbe compreso come eventualmente si possano aiutare le squadre con incentivi – fiscali, finanziari, legislativi – per poter realizzare in tempi contenuti queste opere. 

Ma un altro aspetto fondamentale è dato dalla gestione quotidiana delle società e dall’impostazione che viene data ad esse. È in altre parole una tematica di management delle società calcistiche. Tutte le aziende – e quelle del calcio evidentemente non fanno eccezione alla regola – devono essere gestite in modo oculato fra ricavi e costi. Ciò significa che dati i ricavi c’è una tematica di economicità della gestione che passa attraverso il controllo dei costi. È una tematica di costo del cartellino e del suo ammortamento negli anni di contratto, di ingaggi dei calciatori che vanno tenuti in debita considerazione (soprattutto quando questi si incrementano considerevolmente in presenza dei cosiddetti “parametri zero”), delle provvigioni, spesso troppo elevate, da corrispondere ai procuratori. In questo ambito sembra andare nella giusta direzione la prassi di quelle società che tendono a valorizzare e sviluppare la cosiddetta primavera o le seconde squadre, con possibilità di trovare dei campioni prodotti in casa. Il che poi evita di dover spendere cifre esorbitanti per il cartellino o consente di monetizzare i campioni attraverso delle effettive plusvalenze. Queste buone prassi dovrebbero quindi portare a superare anche la tematica di molte società con un patrimonio netto negativo, invero attualmente molte, se la gestione viene fatta in maniera oculata ed efficiente. Ma, come si vede, sembra essere un tema aziendale e di riflesso contabile, più che fiscale. 

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