05 Luglio 2024
Delibera assembleare di abolizione della clausola di prelazione interna con l'incognita dell’abuso del principio di maggioranza
“La soppressione o la modifica di una clausola di prelazione inesorabilmente si riverbera sul deterioramento delle prerogative dei soci, il che è ancora più evidente nel caso in cui la clausola sia modificata nel senso di escluderne soltanto gli effetti all'interno della compagine societaria, ossia nel senso di escludere che uno dei soci possa valersene in relazione alle vendite delle quote degli altri soci”.
È quanto ha osservato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4034, depositata in data 14 febbraio 2024, emessa in un procedimento di impugnazione di una delibera assembleare dei soci di una s.r.l con la quale veniva deliberata la soppressione della clausola statutaria di prelazione interna.
Nel caso affrontato dai Giudici, l’assemblea dei soci di una società (Alfa s.r.l.), la cui compagine sociale era composta da Tizia, Caio e dalla società estera Beta, soci nella misura di un terzo ciascuno, aveva deliberato all’unanimità la distribuzione di ingenti riserve di utili e, a seguire, aveva deliberato, con la maggioranza composta dai soli soci Tizia e Beta, la modifica dello statuto sociale disponendo l’abolizione della clausola di prelazione interna nel caso di trasferimento di quote tra i soci. Nelle due settimane successive, Tizia aveva ceduto parte della propria partecipazione in Alfa S.r.l. alla società Beta che aveva raggiunto, così, la maggioranza del capitale sociale nella misura del 58,3%.
Caio aveva impugnato la delibera di abolizione della clausola di prelazione, ritenendola viziata da abuso del voto di maggioranza: secondo il ricorrente, lo scopo degli altri soci consisteva nell'emarginarlo, in quanto socio di minoranza, mediante il trasferimento delle quote a Beta, società estera riconducibile peraltro alla stessa Tizia, con utilizzo delle risorse economiche ottenute da Beta stessa per mezzo della distribuzione della rilevante somma corrispondente a utili accantonati, disposta dalla prima delle due delibere.
Il ricorso proposto da Caio veniva accolto dal Tribunale di Roma.
La Corte d'appello di Roma, invece, aveva accolto l'appello proposto dalla società Alfa s.r.l.. rigettando, tra gli altri, il motivo di invalidità della delibera in ordine al mancato rispetto del quorum deliberativo, in quanto Caio, già socio di minoranza insieme agli altri soci Tizia e Beta, sarebbe rimasto comunque nella condizione di socio di minoranza della società anche se la clausola di prelazione non fosse stata abolita. La Corte territoriale evidenziava, peraltro, il mancato raggiungimento della prova della sussistenza dell'interesse personale di Tizia e Beta all'adozione della delibera, nonché che la stessa fosse dannosa per la società Alfa S.r.l..
Contro questa decisione, Caio aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando, fra gli altri motivi, l’omesso esame di fatti decisivi idonei a dimostrare l’intento degli altri soci di emarginare dalla compagine sociale il socio di minoranza (Caio) mediante l’abolizione della clausola di prelazione, senza consentirgli la possibilità di aumentare la consistenza della propria partecipazione al capitale sociale.
Prima di procedere alla disamina della sentenza emessa dalla Suprema Corte, occorre ricordare che, nell'ambito delle s.r.l., l'articolo 2469, comma 1, del codice civile dispone che le partecipazioni sociali sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione mortis causa, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo. Le clausole di prelazione vengono normalmente inserite negli statuti sociali e impongono al socio che intende cedere, in tutto o in pate, la propria quota di partecipazione sociale, di offrire la propria partecipazione agli altri soci, preferendoli, di fatto, ai terzi.
Esistono due tipi di clausole di prelazione:
- la prelazione propria, secondo la quale il/i titolare/i del diritto di prelazione devono offrire al socio cedente le stesse condizioni da lui concordate con il terzo;
- la prelazione impropria, secondo cui le condizioni della cessione vengono fissate sulla base di determinati criteri o, in caso di disaccordo fra le parti, da un terzo arbitratore.
Nel caso in cui non venga rispettata la prelazione, il trasferimento non acquista efficacia nei confronti degli altri soci e della società e, pertanto, formalmente il cedente resta socio e il cessionario rimane terzo estraneo.
La ratio della previsione statutaria della clausola di prelazione va rinvenuta nell'esigenza di evitare ingerenze esterne nella vita della società, escludendo terzi che possano assumere la veste di soci e/o influire, votando, sulle dinamiche assembleari e societarie.
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, gli Ermellini hanno riconosciuto la rilevanza organizzativa e la funzione specificamente sociale delle clausole di prelazione in quanto in grado di accrescere il peso dell’elemento personale all’interno della società.
La modifica e/o l’abolizione di tali clausole, inevitabilmente, si riverbera su un deterioramento delle prerogative dei soci in quanto in grado di incidere sulle posizioni organizzative degli stessi, soprattutto nel caso in cui tali clausole vengano modificate al fine di escluderne gli effetti all’interno della compagine sociale o, comunque, al fine di escludere che uno o più soci possano avvalersene in caso di vendite di quote da parte degli altri soci.
A tal riguardo, nel caso di specie, i Giudici sono stati chiamati a verificare se i soci di Alfa, mediante l’adozione a maggioranza della delibera oggetto di impugnazione, abbiano agito con l’intento di arrecare un danno non giustificato al socio di minoranza a proprio vantaggio, in violazione del canone di buona fede oggettiva posto dall’articolo 1375 del codice civile.
La Suprema Corte ha osservato che, qualora si contrappongano, tra i soci di maggioranza e quelli di minoranza, interessi entrambi negoziali, o anche entrambi non negoziali, si deve lasciar operare la regola della maggioranza in ordine al funzionamento dell'assemblea, per consentire alla società di assumere tutte le decisioni che l'assemblea stessa reputi idonee al conseguimento del suo scopo; diversamente, se a contrapporsi sono interessi negoziali e interessi non negoziali, perché volti a pregiudicare o ad escludere il singolo o una minoranza, il principio di maggioranza non può efficacemente operare e il suo atto di esercizio costituisce un abuso.
Di conseguenze, come sottolineato dalla Suprema Corte, un abuso del principio di maggioranza si riverbera sull’annullabilità della delibera con la quale esso si è espresso, qualora l’espressione del voto non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società oppure costituisca il risultato di un'intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a pregiudicare i diritti e gli interessi dei soci di minoranza.
In presenza di tale abuso, il nostro ordinamento pone la regola di rifiutare la tutela di poteri, diritti e interessi esercitati/acquisiti in violazione delle corrette regole di esercizio e posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
Alla luce di tali considerazioni, con riferimento al caso di specie, i Giudici hanno osservato che “un conto è essere socio di minoranza insieme con altri soci, ciascuno di minoranza, il che impone ai soci il raggiungimento di un accordo; altro conto è restare l'unico socio di minoranza, mentre altro socio diviene di maggioranza e quindi in grado di determinare le sorti della società”.
La Cassazione ha, di conseguenza, ritenuto insufficienti le motivazioni con cui la Corte d’Appello aveva accolto il ricorso della società Alfa contro la statuizione del Tribunale di Roma e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa in appello e chiamando i Giudici di secondo grado a valutare se la successione cronologica degli eventi (delibera di soppressione della clausola di prelazione interna e vendita di parte della quota di uno dei soci all’altro socio) sia stata posta in essere al fine di impedire al ricorrente socio di minoranza l'esercizio del diritto di prelazione e, in particolare, se sia stata volta a impedirgli d'interferire con la vendita delle quote all'altro socio.
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